Varanasi – Non è un paese per vecchi (5)

 

Varanasi è l’unico posto sulla terra che permette di sfuggire dal Samsara, l’eterno ciclo delle rinascite,

Varanasi è un pugno forte allo stomaco, qualcosa che ti colpisce forte dentro. È impossibile rimanergli indifferente, questa città ti cambierà per sempre. Cambierà il tuo modo di vedere le cose, la tua visione della povertà più estrema, cambierà il tuo modo di immaginare la religione, le malattie, cambierà il valore che darai ai sorrisi della gente, i colori del cielo, il valore preziosissimo dell’acqua e del cibo. A questa città non si è mai preparati, e nonostante il lungo cammino per tutta l’India del nord, questa città è ancora più estrema di ciò che la mente umana possa mai immaginare.

Varanasi è forse la città più autentica dell’India, dove puoi assistere e respirare i suggestivi riti millenari che giorno dopo giorno si ripetono lungo i gath della città. È proprio lungo queste suggestive scalinate che scendono fin dentro le acque del fiume Gange, che da sempre la vita di milioni di persone va avanti. I suoi edifici ammassati, gli stretti e oscuri vicoli ti lasceranno un segno indelebile.

Le rive del Gange racchiudono la vita e la morte delle persone e degli animali. Qui ogni giorno,  migliaia di persone, donne, bambini, giovani, anziani, malati e moribondi si immergono nelle acque sacre per purificare i loro spiriti. Ma il fiume non è soltanto un luogo per le persone. Decine e decine di animali, pascolano e si riposano lungo le rive  del fiume per trovare sollievo alle caldissime giornate estive.

Almeno un milione di pellegrini raggiungono ogni anno Varanasi. C’è un’antica credenza che dice che chiunque muoia lungo la strada per Varanasi si libera dalla condanna del samsara, il ciclo delle rinascite. È per questo che Varanasi è anche il luogo dove la gente desidera morire. Proprio lungo le rive del Gange si ammassano malati che attendono la morte, per conquistare il loro paradiso.

Sono in giro già dalla mattina, ed il posto è talmente lento e caotico allo stesso momento, che sembra di vivere un paradosso. Vorrei mangiare qualcosa, sono veramente affamato, è da ieri che sono a stomaco vuoto. Sto perdendo peso a vista d’occhio, non riesco assimilare il cibo che mangio,  e la scorsa settimana me la sono anche vista brutta, piegato in due a letto dal mal di stomaco che mi ha accompagnato per quasi 5 giorni. Qua i ristoranti non somigliano a quelli tipici occidentali, una bancarella a bordo strada qui è la normalità. Casualmente osservo un bambino avvicinarsi al Gange, con una conca piena di stoviglie sporche. Tira fuori un panno lurido, e si mette a lavarli, quasi con dedizione. Posso assicurare che i piatti erano molto più puliti prima di essere lavati con l’acqua sacra (ma pur sempre sporca) del Gange. Sempre casualmente, la fame mi passa all’istante. Proverò a mangiare qualcosa di più sano più tardi. Ora non voglio più pensarci.

L’aria intorno è aspra, densa, saranno almeno 35 gradi, ed il sole è alto in cielo. Lungo la strada ci fermiamo a osservale la lunga processione di pellegrini che stanno arrivando in città in questo momento. Alcuni portano con se piccole borracce, da riempire con la sacra acqua del Gange. È una processione che non ha fine.

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Alcuni sono giovani, altri vecchi, a volte pitturati di bianco in viso e vestiti con abiti di uno spiccato color arancione. Alcuni tra questi portano con se una scodella di ferro. Non so se la utilizzino per mendicare o per mangiare… forse per entrambe le cose. Sono tizi stranissimi, che non passano inosservati. Hanno delle lunghissime barbe incolte e una specie di turbante in testa. Altri sono truccati in volto non soltanto dal classico cerone bianco, ma sono adornati da altre strisce colorate sulle guance e sulla fronte. Ora sto quasi ridendo immaginandoli, esili come sono, a giocare a football americano. Con quei segni mi ricordano i giocatori di football, che anche loro spesso portano dei segni colorati sulle guance.

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Lungo la strada ne approfitto per scattarmi qualche foto con la mucca di turno, che non curante di quello che le accade intorno, dorme beatamente sdraiata lungo tutta la larghezza del vicolo, bloccandolo di fatto e costringendo la gente a fare salti mortali per passare senza infastidirla.

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Filippo e Leonardo finalmente scoprono un piccolo locale, un po’ appartato rispetto alla strada principale. L’aria condizionata ci gelava piacevolmente la testa, ma la cosa più incredibile era la pulizia assoluta di questo posto. Era arredato con un piacevolissimo stile mix indiano arabo. In tutto il locale ci saranno stati un paio di divani, e altrettanti tavolinetti. Assieme agli altri ragazzi abbiamo praticamente colonizzato il locale. Era come essere in un limbo. Fuori il delirio più totale, dentro, la pace dei sensi. Non avevo mai desiderato così tanto una coca cola ghiacciata, e loro ce l’avevano, non potevo ancora crederci!

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Eravamo stanchi, troppo per continuare, così ne approfittiamo per tornare in hotel e riposarci un po’. Io dormo pesantemente, e faccio giusto in tempo a guardare l’orologio, prima di addormentarmi.

La sera Varanasi cambia volto, si trasforma in un gigantesco formicaio di persone indaffarate, che corrono su e giù per le strade trafficatissime del centro. Pensiamo di fare un giro tutti insieme per i vicoli di Varanasi, portando con noi la macchina fotografica, in cerca di qualche scena caratteristica da immortalare. Sappiamo che anche questa sera vivremo altre esperienze uniche ed indimenticabili. Ne sentiamo le vibrazioni.

Lungo la strada una infinita processione di persone occupano tutto lo spazio, e non rendendoci bene conto di quello che succede, ci incamminiamo anche noi. Le rive del Gange! Sono tutti diretti lì. Con tutta quella gente, non mi accorgo di una pozzanghera, e mi infradicio completamente le scarpe. Inizialmente non ci faccio caso, ma poi mi domando cosa ci faccia una pozzanghera quando ormai la stagione delle piogge era finita da un pezzo?!

Non era una semplice pozzanghera. Era l’alta marea, che aveva innalzato le acque del Gange, fino a farlo straripare in quel punto della città.

Pochi metri più avanti era già impossibile riuscire a camminare mantenendo i piedi all’asciutto! non riuscivamo nemmeno a tornare indietro dalla folla che spingeva. L’unica idea che ci è venuta, è stata quella di continuare ad andare avanti spediti, camminando sullo spartitraffico al centro della strada. Cerchiamo di fare così una deviazione, per allontanarci e salvarci da quella zona allagata.

Dobbiamo ancora riprenderci da quell’esperienza, che subito ci aggancia un tizio minuto, magro, con una barba trasandata, e un pantalone con il risvoltino, non proprio trendy, completamente sporco e fradicio di acqua del Gange. Se l’avessi incontrato oggi avrei potuto scambiarlo per un hipster dei giorni nostri. Ad ogni modo, ci propone un tour dei gath di sera, dicendoci che sono molto suggestivi. Accettiamo, anche se io ero un po’ sospettoso verso quel tizio dalla faccia poco raccomandabile.

Il tizio cammina a passo svelto, in quel labirinto di vicoli, alcuni dei quali completamente al buio. Per la verità facciamo anche un po’ fatica a rimanergli dietro. I vicoli si stringono, e si allargano, e ogni pochi metri incontriamo un bivio, tanto che se mi fossi perso sarei stato veramente nei guai. Affretto il passo, per non finire inghiottito da questa grandissima città.

In alcuni momenti ci ritroviamo a passare dentro qualche baracca abitata, e la gente ci osserva passare quasi con noncuranza. È come se dalle nostre parti, per attraversare una via ci ritroviamo ad entrare in casa di qualcuno.

Stiamo ancora scendendo per gli stretti vicoli, ma l’aria già si fa afosa, consumata, man mano che scendiamo. Intorno a noi moltissima gente locale; pochi ci degnano di uno sguardo, e quelli che lo fanno, hanno l’espressione di chi ha visto un alieno.

 

Dovremmo esserci quasi. Il Gath Manikarnika è forse quello più antico tra tutti i gath lungo le sponde del fiume.. In fondo riusciamo a vedere un grande falò. Quello è un fuoco che non viene spento da secoli. È la scintilla che proviene sempre da quello stesso fuoco, a bruciare i corpi di tutti i morti che arrivano al gath. Non possiamo che rimanere a bocca aperta, scossi dalla sacralità e misticismo di quel luogo. Sembra di trovarsi catapultati in un luogo mitologico, o in un girone dell’inferno dantesco. Improvvisamente l’odore asfissiante e pungente del fumo arriva fino a noi e ci si stringe lo stomaco. Si percepisce benissimo l’odore della carne bruciata che ci viene addosso, impregnandoci i vestiti. Vediamo intorno al falò un gruppetto di persone che assistono alla scena, sedute sulla scalinata, osservare le fiamme che si riflettono nell’acqua sacra del fiume. Riusciamo appena ad avvertire il brusio composto delle persone che recitano un mantra, o comunque qualcosa di ripetitivo, che ci manda quasi in crisi. Poco più in là, altre persone avvicinano una lettiga all’acqua per bagnare le gambe del proprio morto fino alle ginocchia, in segno di purificazione, prima di poggiarlo sulla pira, pronta per essere accesa. Ancora a pochi metri, un uomo, con un bastone attizza il fuoco per renderlo più vivo. Ci saranno almeno 8-10 piattaforme che bruciano contemporaneamente; le fiamme ardono alte, ma a tratti si possono vedere brandelli di carne e di ossa che bruciano. Infine, quando la fiamma pian piano si esaurisce, con il lungo bastone butta in acqua ciò che rimane, brandelli, e parti del corpo non completamente bruciate.

Quasi ovunque vedrete altissime cataste ordinate di legna, pronte per essere utilizzate. Alcune cataste sono fatte di tronchi di Sandalo, un legno pregiato e molto costoso, ma normalmente viene usato il castagno, che ha un alto potere calorifico. La quantità di legna utilizzata è importantissima per la cremazione, il corpo deve bruciare completamente. Soltanto quando il corpo viene completamente bruciato, la persona può liberarsi dal ciclo delle reincarnazioni. Il legno però ha un costo, che non tutti riescono ad affrontare, e probabilmente è anche un grande business per i venditori di legname. Poco più in là vediamo decine e decine di corpi, ancora avvolti nei sudari arancioni, che a turno, vengono preparati, in attesa di prender posto ciascuno sulla propria pira.

È così che si compie la vita e la morte a Varanasi, seguendo un’antichissima tradizione, immutata nei secoli.

Lungo le sponde del Gange esiste un edificio, completamente circondato dall’acqua. È un rifugio, una specie di ospizio per anziani e malati rimasti soli, che aspettano con rassegnati il momento di liberare la propria anima dal loro corpo. La gestisce una sorta di prete, che si occupa dei bisogni primari di queste vecchiette. È lui che ci chiama, e ci invita a visitare il posto.

L’edificio è al buio e all’interno non c’è elettricità.A guardarla da fuori sembra una costruzione in cemento mai completata. Per entrare abbiamo bisogno che un barcaiolo ci faccia da sponda, e ci carica sulla barca per attraversare quei 10 metri nel Gange.

 

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Proprio vicino all’entrata dell’edificio una piccola lettiga è poggiata a terra. Si distingue a malapena il corpo minuto, probabilmente di un’anziana, avvolto nella usuale tela color arancio, in attesa di essere cremata. Intorno numerosi parenti la vegliano rattristati, alcuni seduti ai bordi di una grandissima catasta di legna, alta almeno quindici metri. A causa dell’unica via stretta per accedere al palazzo, sono costretto a passarle talmente vicino che potrei scavalcarla. Mi sento completamente fuori luogo, e mi domando per quale maledetta idea io mi trovi lì, in quel momento, in quel posto. La guida fa cenno a me ed agli altri ragazzi di seguirlo e proseguire, Rimango un po’ indietro, indeciso se continuare o fermarmi perché avverto un forte senso di disagio. Alla fine per evitare di rimanere lì da solo, mi faccio coraggio, e supero il gruppetto di persone, che non fanno a meno di notare la nostra inutile presenza lì. Salgo le scale, completamente buie, usando la luce del telefono per evitare di inciampare da qualche parte. Dal fondo del lungo corridoio si sentono delle voci, che rimbalzano tra le pareti spoglie creando una sorta di riverbero. È un piccolo gruppo di vecchiette, forse una decina, tutte ranicchiate sul pavimento nell’angolo più buio,  lontano dalla finestra, che sibilano una specie di cantilena.

La finestra è senza infisso, e si sente il fumo denso e acre della legna che brucia e arriva fin lì. Sono frastornato dalla intensità di quel momento Una delle vecchiette ci avvicina, fa ranicchiare anche noi, e mentre recita qualcosa con un filo di voce, ci tocca uno ad uno, sulla fronte. Ci da una sorta di benedizione, nella speranza di ricevere qualche moneta per la loro legna. Ci spiega il prete infatti, che le vecchiette hanno bisogno di denaro, per comprare legna e potersi far cremare dignitosamente, e terminare così il loro ciclo delle rinascite. Non so se sia una scusa o no, ma alla fine le lascio una banconota da 500 rupie (che poi nel buio stavo quasi per lasciarle 100€), nella speranza che quei soldi le servano davvero per la sua legna, e che non le vengano sottratti poi dallo stesso prete.

Mi affaccio alla finestra, sento il calore del fuoco rovente, che arriva fin quassù. Mi asciugo la fronte grondante di sudore. Prima di andarmene, allungo di nuovo lo sguardo fuori, verso le rive del Gange, dove la vita e la morte continuano ad intrecciarsi, in questo scenario mistico che sa di incenso.

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