Verso l’anima del Nepal (1)

Con il nostro driver Ajmera.

Con il nostro driver Ajmera.

Chi teme ogni nube non parte mai. (P.Morand, Viaggiare)

Stiamo lasciando l’India tra le luci del tramonto, sperando che il Nepal sia un po’ più “comodo da visitare”. In realtà siamo su un “pulmino della speranza”, preso a pochi denari in una stazione sconosciuta in cui ci aveva mollato Sven, il nostro autista. Con lui avevamo l’accordo di arrivare insieme fino al confine, ma probabilmente, provato dal lungo viaggio, non ce la fa più e ci lascia percorrere da soli l’ultimo tratto del viaggio, preparandosi a tornare indietro con la sua fantastica Tata, la sua macchina resistente come un carro armato.. Son convinto che un’automobile occidentale non sarebbe mai sopravvissuta a tutte quelle buche che abbiamo preso durante quei 1000km. A dir la verità non è che ci lasci proprio soli; ci presenta un omino, dalla bassa statura ma dalla faccia allegra. Ci dice che il tizio percorre la nostra stessa strada, e che ci darà una mano per arrivare in Nepal. Avevamo un certo sentore di fregatura, e cominciamo a chiederci se ci avesse “appioppato” un’altra guida, chiaramente da pagare a parte. Il tizio infatti si comportava come un cagnolino, rimanendo incollato a noi, e dicendoci che nei giorni successivi ci avrebbe aiutati a visitare la città. Fin quel momento però non avevamo dato peso alla cosa, pensando che il tizio ci avrebbe ben presto mollati. Siamo costretti a liberarcene all’arrivo (no, non l’abbiamo ucciso), quando il suo comportamento è ormai chiaro. Non abbiamo bisogno di una guida per il Nepal, per giunta a piedi!  Purtroppo questi inconvenienti capitano quando si viaggia, e non dobbiamo mai dimenticarci, che per alcune persone siamo semplicemente sacchi di denaro che camminano.

Ormai siamo a metà del grande viaggio. Sembra passata una vita dalla nostra partenza,  la stanchezza ormai è quasi un’entità tangibile, anche il nervosismo comincia a farsi sentire. Eppure abbiamo ancora il controllo, consapevoli che con questi ritmi serrati qualche problema ci può stare.

Arrivati al confine nuovamente i nostri animi si rincuorano. Siamo a Sunauli, il border per il Nepal. Lo scenario che si apre davanti a noi è surreale; è piena notte e ci siamo trovati immersi in un paesaggio quasi lunare. Non ci sentiamo proprio tranquilli, non è una bella situazione. Forse è l’unico vero momento in tutto il viaggio in cui le persone ci sembrano poco “amichevoli”. Ad ogni modo, per fare il visto di ingresso abbiamo bisogno di Rupie Nepalesi, e siamo costretti a cambiare soldi presso lo sportello di uno strozzino, ancora all’interno del confine con l’india. Probabilmente rientra nella top10 dei posti meno sicuri al mondo dove cambiare denaro! Dopo aver svolto le pratiche di uscita dal confine all’ufficio immigrazione indiano, riusciamo a trovare l’ufficio per l’ingresso in Nepal. È a pochi metri dalla sbarra del confine di stato, posta al centro della strada e sorvegliata soltanto da qualche guardia assonnata per il tardo orario. L’ufficio è illuminato soltanto dalla fioca luce di un lampione, poco più in là. Il posto è buffo. Il commissario che ci apre la porta si stava già preparando per andare a letto, e ci accoglie in pancetta e cannottierina fantozziana. Toglie svogliatamente i cuscini e coperte dal tavolo (ho seri sospetti che dorma sullo stesso tavolo dove timbra i passaporti), e ci fa accomodare su degli sgabelli piuttosto demodè. Mentre svolge le pratiche sfrutto l’occasione per scattare di sotterfugio un paio di foto. Il tizio se ne accorge e mi borbotta contro qualcosa. Accenno un segno di scuse, ma il senso è un po’ “Tanto ormai te le ho fatte le foto..“. Mentre completa laboriosamente il suo lavoro, osservo sulle pareti almeno una decina di gechi in caccia di farfalle e zanzare, tutti radunati vicino all’unica lampadina che penzola giù, lungo la parete della stanza.

Vedere finalmente il timbro ed il Visto del Nepal appiccicato sul passaporto è stata un’emozione, è come vincere una gara, di resistenza, dove solo i più caparbi arrivano.

Ecco che quando il tizio ci saluta frettolosamente per tornarsene a letto, arriva un gruppetto di turisti. Scendono da un furgoncino ed indossano grossi zaini da viaggio. Anche loro si guardano attorno un po’ disorientati. Non faccio in tempo a chiedermi chi siano questi 10 pazzi  arrivati a quest’ora chissà da dove (oltre noi ovviamente), che subito sento parlare in italiano. Beh, in effetti non dovrei meravigliarmi.. Potrei raggiungere un’isoletta dispersa nella polinesia francese, e comunque son sicuro di incontrare qualche italiano. Siamo proprio un popolo di viaggiatori noi italiani..

Mi pare di ricordare che a quel punto decidiamo di fermarci lì intorno per la notte, per ripartire il mattino seguente, e raggiungere la capitale con più calma. Chiaramente anche qui, a quest’ora c’è comunque qualcuno che ti propone una camera per dormire. Certo, non è l’Hilton, ma come riparo per la notte, andrà più che bene. Dobbiamo soltanto chiudere fuori dalla porta qualche ragno e zanzara. Domani sarà una gran giornata, buttiamo a terra gli zaini, e ci addormentiamo tutti nel giro di qualche minuto, assaporando ancora il gusto di aver raggiunto un posto lontano, ed essere lì, tutti insieme in quel preciso istante.

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