Boia Deh! è un espressione che non ci dimenticheremo.
In realtà, a Sihanoukville, non è soltanto un’espressione, ma prende forma nel piccolo e accogliente locale di due italiani, madre e figlio, toscani doc, scappati dall’Italia in cerca di una vita più serena. Un nome più che bizzarro per un locale, e che mai ti aspetteresti di trovare dall’altra parte del mondo.
Siamo appena arrivati in città, dopo una lunga e scomodissima corsa in bus durata tutta la notte. Un’avventura che non si dimentica. Non avevo mai dormito in un bus con le cuccette prima, e se devo essere sincero, spero di non ripetere l’esperienza a breve. Non ricordo quando a che ora fossimo partiti da Phnom Pehn (forse alle 20:00), ma ricordo bene la strada dissestata, che ogni tanto sbirciavamo, e ricordo le cuccette: dei loculi a due piani, disposti su entrambi i lati del bus e separati da tendine per garantire un minimo di privacy.
Le cuccette più alte, erano all’altezza del finestrino, e davano almeno la possibilità di vedere ciò che accadeva fuori. Quelle sotto, (chiaramente le nostre cuccette) erano completamente al buio, ed il finestrino, potevamo soltanto immaginarlo sulla parete. Ci si stava soltanto da sdraiati, e alzare la testa, equivaleva a dare una capocciata al soffitto.
Al centro del bus uno strettissimo corridoio correva fino al fondo e quando la gente passava, chiaramente spostava tutte le tendine svegliando quei pochi fortunati che riuscivano a prender sonno.
Vabbè, ci consoliamo pensando ai nostri zaini, appena ritirati la sera prima all’aeroporto di Phnom Pehn, dopo una lunga caccia al tesoro.
I nostri bagagli ci seguivano per tutta la vacanza, ma dato che non ci fermavamo più di due giorni nella stessa città, non riuscivamo mai a prenderli. Inoltre, le risposte del servizio bagagli dei vari aeroporti, ci rispondevano alle email con almeno 1-2 giorni in ritardo.
Solo per caso ci siamo fermati all’aeroporto di Phnom Pehn; passandoci davanti, abbiamo pensato di andare a sentire per le nostre borse, e magicamente erano lì ad aspettarci. Ohhhh yeaaaaaa!! Non che m’importasse dello zaino, che era praticamente vuoto, ma finalmente potevo riprendere il mio bastone fidato della GoPro, ed abbandonare la busta della spesa con cui giravo ormai da una settimana.
Torniamo a noi… avevamo letto di questa cittadina e dell’isola di Koh Rong sul giornale, dove aveva aperto una piccola guest house un ragazzo della nostra città. Che in realtà non conoscevamo, ma essendo nostro compaesano, con vari amici in comune, ci sembrava il minimo fargli una visita. La ricerca della guest house In the Blue, dove vive Leo, si rivelerà più tardi una vera e propria caccia al tesoro, e ci torniamo su più tardi.
Dopo aver lasciato le nostre cose al Blue Sea Boutique Hotel, ci fermiamo lì accanto, al Boia Deh per fare colazione. Conosciamo lì Patrizia e Dennis, i proprietari del locale.
Fantastico accento toscano ben marcato; due italiani veramente doc, che ci hanno fatto sentire a casa e ci hanno fatto mangiare un delle buonissime focacce e cappuccino.. Una colazione all’italiana che ormai ci stavamo dimenticando, ormai abituati alla cucina asiatica.
Ci raccontano la loro storia, e conoscono Leo, il ragazzo che abita sull’Isola. In realtà gli italiani residenti lì son pochi, e si conoscono tutti. Infatti poco dopo, arrivano altri italiani al locale, tutti residenti lì da qualche anno, e Patrizia fa le presentazioni.
Ci accorgiamo che siamo lì da ormai due ore. Il tempo vola a chiacchierare lì con loro, e ci diamo appuntamento per il giorno seguente.
Stanno infatti organizzando una cenetta in pizzeria (chiaramente di un italiano) tra tutti i vari emigrati italiani presenti lì in città, e ci invitano a passare la serata con loro.
È proprio vero, fuori dal nostro paese tiriamo fuori tutta la nostra italianità, ed è stato bello vedere come il senso di appartenenza ad una nazione li ha portati a formare piccola ma forte comunità.
Finalmente a stomaco pieno, pianifichiamo in un momento la nostra giornata. Cartina alla mano, si va sull’isola di Koh Rong, alla ricerca di Leo e delle spiagge dalla fine sabbia bianchissima.
Sono poche miglia di mare, ma la fast boat sembra non arrivare mai. Mentre costeggiamo l’isola in attesa di raggiungere il porto, ci accorgiamo della bellezza di quel posto. Un paesaggio selvaggio, completamente ricoperto di una fitta vegetazione tropicale.
Siamo già in costume da bagno, e non abbiamo difficoltà a saltare dalla barca, con l’acqua fino alle ginocchia per raggiungere la terra ferma. Chiediamo in giro, cerchiamo Leo, l’italiano che vive lì, ma ben presto scopriamo che è un po’ più a nord, e ci servirà un’altra barchetta per raggiungerlo.
Già bruciati dal sole, contrattiamo con un tizio del posto, che ci porterà fino all’ennesima spiaggia. Non ho mai passato tanto tempo in barca e comincio a diventare nostalgico (cit. Bud Spencer). Ma anche la più lunga attesa prima o poi deve finire, e finalmente vediamo in lontananza un gruppetto di baracche e palafitte in riva alla spiaggia. Il timoniere, un simpatico tizio dalla carnagione brunastra e la pelle solcata dal sole, ci indica col dito il gruppetto di bungalow, e ci fa cenno: “In the blue! Your friend!”. Il vostro amico è lì. Scendiamo e vediamo Leo, chiaramente l’unico di carnagione chiara in mezzo ad un gruppetto di locali dalla pelle più scura.
Ci saluta gentilmente in inglese, e noi, tra un cenno di risata gli rispondiamo “Ohhhhh!!!! Semo de Fuligno!!!!!”. Immediatamente scoppia a ridere, chiaramente sorpreso. Ci chiede cosa ci facciamo dall’altra parte del mondo e in un posto così remoto, mostrando un chiaro tono curioso e divertito. Dopo avergli raccontato dell’articolo di giornale, e di averla presa quasi come una caccia al tesoro, ci pensa su un attimo e ricomincia a ridere. Son sicuro che abbia pensato che eravamo pazzi. (si, lo so che anche voi lo state pensando).
In realtà avevamo passato tutta la mattina tra barche e barchette, e avevamo letteralmente solo un’ora da spendere lì, prima di dover tornare alla fastboat.
Comunque la missione era compiuta, ed eravamo soddisfatti. Ne abbiamo quindi approfittato per festeggiare con una Angkor ghiacciata, che, anche lì, in un posto così sperduto e remoto non manca mai.
L’acqua era veramente verde, e trasparente, e approfittiamo di quell’unica ora per fare una nuotata, ammirando i fondali corallini.
Ormai è sera, e siamo riusciti a tornare alla terra ferma di Sihanoukville per raggiungere gli altri italiani in pizzeria.
Non ricordo più i loro nomi, ma le loro facce non me le dimentico. Ognuno meriterebbe un capitolo a parte in questo racconto, ognuno di loro con una storia incredibile alle spalle, col proprio passato italiano e presente cambogiano. Ma tra un brindisi ed un calice di vino, tutti insieme sembrano formare una bella famiglia divertente e sorridente, Lì sono da soli, ed è importante prendersi cura l’uno dell’altro.
Noi siamo lì in mezzo, a gustarci questa serata tutta italiana, sotto il cielo stellato, davanti ad una buonissima pizza margherita, che grazie all’abbondante basilico fresco ci ricorda i colori della nostra bandiera.