Una giornata dovrebbe bastare per fare un salto a Jaipur, 60km a sud di Delhi. Siamo in macchina con Sven, con l’aria condizionata al massimo, e almeno una quindicina di gradi di sbalzo termico con l’esterno. Soffriamo tremendamente la strada dissestata, che poi, dissestata è un complimento. Le strade sono a tratti inesistenti. Persone, bambini, cani, mucche, giacciono ai bordi delle strade, o attraversano la strada incuranti della loro vita.
Ci sforziamo di metterci nei loro panni, di capire la loro visione delle cose, ma è complicato. Sven ci vede perplessi, e ci spiega, che in India è così. È la loro religione, la loro vita. Le loro sono caste chiuse. Devono vivere al meglio ora, con quello che gli è stato concesso, confidando nella reincarnazione. Devono migliorare il proprio karma con le buone azioni, sperando che la prossima vita sia migliore. Il karma, questa parola già non mi piace, mi rende sospettoso, e pensando a quello che vedo anche piuttosto nervoso. Anzi, facciamo così, tornerò più avanti sul discorso; è una promessa. Ora cerco di non pensarci, e dò un’occhiata alla mappa.
“Ragazzi, dove caspita siamo? Sono ore che siamo in macchina.” chiede Filippo. Paolo lo guarda, massaggiandosi la barba con la mano – “Ci siamo quasi, stiamo arrivando all’Amber fort di Jaipur, facciamo un salto anche a vedere questi templi?” E indica sulla mappa sgualcita un punto segnato col pennarello. Guardo la mappa a mo di struzzo, ed esclamo: “Andiamo!! Quando ci ricapita?!” Era il Gatore Ki Chhatriyan, un complesso di templi e tombe ai piedi del Tiger Fort. In questo sito furono cremati i più potenti maharaja del Rajastan. Rilancio: “Qui vicino c’è anche quella costruzione sull’acqua! Ridammi la cartina, ti faccio vedere dov’è!”. Il Jal Mahal, era proprio di passaggio, lungo la strada per tornare ad Agra, non potevamo perderlo.
In realtà ero ancora in condizioni pessime a causa del cibo che mi aveva rivoltato lo stomaco, ma avevo bisogno di reagire. Ero ancora pallido, febbrile, e con due occhiaie che arrivavano fin sotto le scarpe, ma dovevo recuperare le forze in qualche modo. Continuavo ad ingerire cocktail di farmaci, in quantità industriale, Aspirine, antivomito, vitamine, energetici. Avevo già perso un giorno di viaggio, e non volevo perderne altri.
Mentre io recuperavo lentamente le energie per rimettere in moto le funzioni vitali, gli altri cominciavano a sentirsi male. A causa del cibo insalubre, dell’acqua contaminata, e dell’aria irrespirabile, il malessere si stava lentamente impossessando anche di loro.
Fortuna che esistono le fotografie. Ecco cosa rimane di quella giornata.
Amber fort
Gatore Ki Chhatriyan
Il Jal Mahal