India e Nepal – La lunga strada per Varanasi (4)


bambina

La via per Varanasi è un lungo cammino. Non importa che tu lo percorra a piedi o in auto, ovunque tu sia, sentirai il peso di quel pellegrinaggio.

Varanasi è la città sacra, un punto d’arrivo per milioni di persone che vi si recano per pregare sulle rive del Gange.

È vero, il nostro è solo un viaggio, ma siamo ormai immersi nella profondità dell’India da giorni. La nostra percezione del tempo è completamente persa, come se fossimo partiti da mesi; ne ricordo benissimo la sensazione. Le giornate passano lente, ma piene di emozioni. Il sole picchia forte sul cofano della nostra macchina. I nostri zaini pesano come macigni sulle nostre spalle. All’interno quattro stracci per vestire, ma tanti regali da portare indietro con noi.

Ero ancora malandato, avevo una forte nausea e crampi allo stomaco, causati dal cibo, ma dovevamo partire. La città sacra non poteva aspettare oltre. Ammetto che avrei preferito rimanere un altro giorno, ma non potevamo davvero fermarci di più.

Siamo riusciti a ritirare i nostri nuovi vestiti, eroicamente cuciti in una sola notte da un bravissimo sarto, e finalmente saliamo in Macchina con Ajmera, il nostro nuovo driver. Sven non poteva venire con noi. Ufficialmente era la festa delle sue sorelle, e non poteva mancare. Ma immaginiamo che Ajmera,  il titolare dell’agenzia, non se la sia sentita di fargli affrontare il viaggio. È lui quindi, che ci accompagnerà nel lungo percorso.

Ajmera è un simpatico signore sulla quarantina, molto professionale, parla bene l’inglese, e un po’ di italiano. Conosce bene i posti e le strade. Sia noi che lui, sappiamo che non sarà un percorso semplice, ma ci ispira una certa fiducia. Raddrizza sul cruscotto un santino raffigurante un dio Indù, e mette in moto, si parte per Varanasi.

Saranno si e no 1000km, ma qui le strade non sono uno scherzo. La strada sconnessa mi ricorda un vecchio videogame, Paperboy, io ci ho passato l’infanzia al bar. Devi evitare gli ostacoli che si presentano lungo la strada, mentre dalla bicicletta lanci giornali nei giardini delle case. Così era la nostra strada.

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Leonardo Gubbioni © all right reserved

 

Persone sostavano senza apparente motivo ai bordi delle strade, a volte seduti, alcuni fumando dei mozziconi di sigaretta rimediata chissà dove; spesso erano vecchi, coi volti solcati dalla vita. A volte bambini, seminudi, che esplicavano le proprie necessità in mezzo al campo, a pochi passi dalla nostra macchina. Anche qui le mucche sostavano, ovunque, incuranti di ciò che le circondava, scacciando di tanto in tanto le mosche con la coda.

Cani. I cani camminavano in branchi. Non penso di aver mai visto così tanti cani. Si muovevano svogliatamente, un po’ impauriti, frugando tra i rifiuti che la gente buttava in strada.

Siamo costretti ad andare piano, tanto le strade sono sconnesse. Forse non abbiamo mai raggiunto gli 80km orari. A tratti, la polvere fuori, sporcava i vetri, ed eravamo costretti a rallentare, qualche volta fino a fermarci.

“Ohhh!!! Va’ piano!” Gli grida Leo, bussandogli su una spalla di tanto in tanto. Ajmera annuiva, ma dopo qualche secondo già tornava a guidare alla sua maniera.

Con la macchina piena non era il massimo della comodità, e spesso, per evitare le buche prendevamo degli scossoni a destra e sinistra. “Oohhhhh!!!!!! Attento alla mucca!!!!!!!!” – Gridiamo sgranando gli occhi all’uscita di una curva. Una mucca, comodamente sdraiata sull’asfalto, fa appena in tempo ad accennare un muggito, quando Ajmera la evita per un soffio. Forse terrorizzati, forse colpiti da un attacco d’isteria collettivo, abbiamo cominciato a ridere a crepapelle. “Anche questa è andata..” – borbottiamo tra noi, dandoci pacche sulle spalle.

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Il sole calava lentamente, e lungo la strada si intensificava il traffico. Sorpassavamo anche molta gente a piedi, camminavano in colonie, alcuni con piccoli carretti, qualcuno portava figli piccoli in braccio. Eravamo in mezzo al nulla. Solo di tanto in tanto attraversavamo qualche piccolo villaggio. “Vengono tutti a Varanasi” ci conferma Ajmera. Mancheranno ancora 500km, capisco in auto, ma a piedi sono pazzi!! “Sono in pellegrinaggio” – ci conferma.

Molti induisti, una volta nella loro vita affrontano il grande cammino verso Varanasi, per purificare il loro spirito e acquisire karma. A volte sono cammini lunghi migliaia di chilometri. Ci dice che molta di questa gente che sorpassiamo ai bordi della strada è partita da Delhi, assieme alle loro famiglie per raggiungere le acque sacre del Gange. Restiamo a bocca aperta, Non riesco ad immaginare come riescano ad affrontare un cammino così duro attraverso questo territorio proibitivo.

La strada si stringe, e vediamo la corsia di sinistra transennata. Le macchine sono in fila, e una coda davanti a noi non finisce più. Ad illuminare la strada ci sono soltanto le stelle: i fari rotti delle macchine, illuminano ben poco. “Siamo fregati! Stavolta si dorme all’aperto” – penso tra me e me. Ormai ci eravamo abituati all’idea di passare la notte fermi in strada, ma Ajmera trova la svolta. Vede una stradina che si addentra in un bosco, e ci si infila con la macchina.

Panico! passiamo dentro un piccolissimo villaggio di baracche, costruite con fango e assi di legno. Alcune persone dormono fuori, per salvarsi dal caldo. Svegliamo alcune capre che dormono beatamente al centro della stradina e le facciamo spostare per poter passare.

Dopo qualche minuto, ci rendiamo conto che di fronte a noi c’è un torrente. Stavolta siamo davvero costretti a fermarci. Notiamo che l’acqua a dir la verità non è tropo alta. Forse venti centimetri, ma il fondo è pieno di sassi, e con la macchina sarebbe un bel rischio. Alcuni ci avevano seguito, sperando come noi in un passaggio, ma la strada era troppo stretta anche per fare retromarcia ormai. Senza scelta, dovevamo per forza attraversare il ruscello in qualche modo. Nel buio abbiamo cercato pietre e tavole, facendoci aiutare dai poveri sventurati che ci seguivano. In pochi minuti siamo riusciti a creare un guado. Quel tanto che bastava per riuscire a passare. Era fatta! Avevamo aperto un passaggio impossibile! Abbiamo seguito il sentiero per quasi mezz’ora, quando finalmente si riavvicina alla strada principale. L’ultimo tratto l’abbiamo fatto attraversando un campo per ricollegarci alla via principale. Finalmente eravamo di nuovo sull’asfalto. Non che cambiasse poi molto per la verità, la strada era come al solito rovinata, tanto che sembrava quasi di essere ancora sul campo sterrato.

Quello che conta, è che incredibilmente abbiamo saltato il blocco stradale e tutto il traffico. Ajmera è stato fenomenale! Ci ha sicuramente risparmiato da una nottata all’aperto, in mezzo al nulla. Con l’adrenalina nel sangue a mo’ di flebo, schiviamo lungo il percorso qualche altra mucca, e qualche altra persona, prima di arrivare a Varanasi.

È vero, non ne possiamo più, ma al tempo stesso quella giornata in macchina ci ha iniettato una carica incredibile. Più ci avvicinavamo alla città sacra, più ne sentiamo il misticismo che la circonda. Ora camminiamo sulla corsia di destra, l’unica percorribile, ormai diventata a doppio senso di marcia. L’altra corsia è riservata ai pedoni. Un flusso continuo di gente che procede a piedi. Vediamo molti santoni, vestiti nei loro tipici abiti arancioni e dalle lunghissime barbe, cosparsi in volto di cenere bianca. Tutti con il classico tilaka, un piccolo segno che disegnano al centro della fronte, punto di concentrazione delle energie spirituali. Ne vediamo di varie forme e di colori diversi, e ci chiediamo quale significato assuma per loro.

Non avevamo mai pensato di percorrere la superstrada contromano (anche se sembrava una normalissima strada statale di periferia). Eppure la nostra corsia viene sbarrata, non potevamo crederci. “E adesso dove andiamo!?” – ci domandiamo esasperati. Sembra che in India tutto è possibile. Ajmera si tuffa nella corsia di sinistra contromano. Immediatamente sento il mio corpo irrigidirsi come un ferro da stiro. Guidavamo tra le machine che ci venivano contro e lo spartitraffico alla nostra destra. Ad ogni macchina che incrociavamo e che ci suonava, io mi appiattivo verso lo sportello destro, come per evitare un impatto imminente.

Avremo percorso 60 km contromano, e ripensandoci oggi, ancora mi chiedo quale entità soprannaturale ci abbia salvati. Se ci penso ho ancora la pelle d’oca. Avevamo finito ormai tutta la riserva di adrenalina, eravamo davvero stanchi come non mai, quando finalmente siamo entrati tra le mura di Varanasi.

Non ricordo bene quale zona della città stessimo raggiungendo, né se avessimo già prenotato una stanza da qualche parte. Ricordo solo che non vedevamo l’ora di dormire. In un letto, su un pavimento, o a bordo strada, ormai non ci importava più. Eravamo in overflow di esperienze, avevamo visto e vissuto troppo, tutto in un giorno.

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