Oserei chiamarlo così questo weekend passato a Londra..
Sveglia alle 8.45 del 28 novembre.
Colazione con l’assoluta calma del sonnambulismo mattutino..Alle 9:20 non ricevendo ancora notizie del compagno di viaggio azzardo una telefonata al sul cell. “Ancora un quarto d’ora mi sento rispondere…”
“Ok nessun problema” rispondo io, “tanto devo ancora passare al bancomat.Quindi hai ancora 5 minuti prima che io passi sotto casa tua, considerala come una minaccia.”
Ok Arrivo in aeroporto alle 10:20, giusto in tempo per prendere i Biglietti e salire in Aereo.
Partenza puntuale alle 11:35 spaccate, per arrivare 2 ore dopo a Stansted. Lì sono le 12.30 (fuso orario -1)
Prendo al volo i biglietti della terravision spiccando un ottimo british style con la ragazza addetta al tickets box, scoprendo solo dopo che anche lei era italiana, e che di inglese non ne capiva una mazza.
Arriviamo al bus senza ulteriori pause, riuscendo a riservarci i posti più comodi e spaziosi. E’ li che i Panini fanno la loro comparsa come attori non protagonisti, che rimangono nella scena per appena 5 minuti.. il tempo di essere divorati. Già dalla periferia di Londra si poteva ammirare il grandioso palazzo, completamente di vetro,con una strana forma ogivale-fallica, che sormontava completamente le aree adiacenti.
Arrivo A Liverpool Street alle 2Pm circa, dove Bizzaglia si innamora di un comune negozio Timberland E della sciarpa Verde gnomo in vetrina. Tutto lasciava presagire che quella sciarpa sarebbe stata portatrice di maledizioni e di sventura..
Dopo aver rinunciato momentaneamente all’acquisto per ripassare nel pomeriggio ci dirigiamo verso l’Underground.. Biglietti giornalieri a 5,40£.. non male. “hanno ridotto i prezzi rispetto allo scorso anno…”
Saltiamo quindi sulla metropolitana, assaporando i colori, le diverse razze e i modi di vestire delle centinaia di persone che condividevano con noi il vagone. Direzione Queens park Hotel.. situato al 48 di Queensway street. Giusto a qualche centinaio di metri da Nothing Hill station..
Entrata promettente, ma già all’ascensore ogni nostra speranza di agio e confort viene polverizzata.
Un ascensore “due posti” in cui non entravano nemmeno le nostre borse. E la camera non era migliore. camera 507 al 5° piano.. praticamente tra le nuvole, ma saltiamo oltre.
Un bagno (arrrggghh) incastonato nella parete.. Tazza lavandino e doccia compressi in meno di 2 metri quadrati, Quello che io definisco un bagno per il perfetto alcolizzato.. si poteva abbracciare il lavandino stando seduti sulla tazza, e raggiungere la doccia semplicemente barcollando in avanti.
Letto matrimoniale da 1 piazza e 3/4 con un capello a doppiapunta bicolore all’interno (Questo la dice lunga sulla pulizia della camera e su chi prima di noi ha albergato in quella camera precedentemente (doppia parentesi: forse un elfo nano del madagascar?)).
Lasciamo il baggage in camera e ci fiondiamo letteralmente verso la vita pomeridiana della metropoli londinese. Usciamo dall’albergo e riusciamo a trovare l’underground solo dopo aver fatto il giro dell’isolato ed essere ripassati davanti all’hotel 2 volte..
Non male come inizio…
Prendiamo l’underground a Bayswater… con destinazione BigBen.. Cambiamo linea e camminiamo all’interno dei corridoi della metro fingendo di conoscere a memoria la metro come dei perfetti londinesi…
Alla fine Usciamo come due talpe dal buco e ci ritroviamo incredibilmente “sotto” il bigben. Fuori dal buco, il freddo si faceva sentire, e il vento passava dal nostro naso martellando direttamente il cervello. Tutt’intorno era già notte, ed erano appena le 3e mezza del pomeriggio.
Nuvole e pioggia fine a completare la scena, come se fossimo entrati in una scenografia tipica del Regno unito.
Un po’ stordito dall’adrenalina di quel momento e dalla stanchezza provocata dai pochi momenti di riposo, mi sono trovato immerso nuovamente in quella fantastica atmosfera british, ruvida, e con un’atmosfera satura di colori caldi e scuri.. circondato da suoni quasi acidi, e da centinaia di volti sconosciuti che passandomi accanto, non si curavano della mia presenza. Da li si poteva anche apprezzare la bellezza del London Eye, un tocco di presente in mezzo al classicismo gotico dei monumenti vicini, come il parlamento, o Westminster abbey.Gia da un po’ di tempo Bizzaglia manifestava la tipica sindrome del Bastardo (inteso come abitante), La frase “Io ho fame, trova un posto dove mangiare qualcosa” cominciava ad essere pronunciata con la stessa frequenza dei dolori di una donna in procinto di partorire. Ma da buon samurai, e con immensa dignità cercava di resistere al cibo, per massimizzare il tempo a disposizione per la visita della città. Ore 18:00 circa – Decidiamo che una passeggiata fino a Buchingam Palace avrebbe completato il giro pomeridiano, e dopo un paio di km ci siamo ritrovati senza rendercene conto, proprio davanti ai cancelli del palazzo reale (la regina che faceva cecherola dalla finestra e salutava con la manina come una vecchia rinco.. ). A dir la verità me lo ricordavo un po’ più maestoso.. In questo caso la mancanza di un’adeguata illuminazione non rendeva sicuramente piena giustizia alla bellezza del palazzo.. tanto che Bizzaglia l’ha liquidato con la sua ormai ripetiviva frase….”Io ho fame, cerchiamo….”
A quel punto dopo aver praticamente tirato a sorte sulla strada da seguire siamo andati in cerca di un qualsiasi posto per mangiare.
Un salto in metropolitana ed il freddo scompare lasciando il posto invece ad una scia di calore scottante che aumentava mentre scendevamo le scale mobili.
Scendiamo a Piccadilly, che ci avrebbe sicuramente offerto un pasto degno di due viandanti affamati.
Il primo locale infatti è stato quello che ci ha colpiti. “The Angus steak” esclama Bizzaglia, adocchiando la grandissima insegna rossa del ristorante.
Anche i prezzi ci hanno colpito. Il secondo tentativo è andato invece in porto.
Un piccolo locale etnico in stile messicano-spagnolo, ha attirato la nostra attenzione. Li abbiamo finalmente mangiato delle mitiche “scelle di pollastro” con french chips e contorni vari, più uno strano dolcetto agrodolce che mi gustava veramente. Finalmente ci siamo accorti che per tutta la giornata non avevamo bevuto nulla Infatti 2 lattine di coca a testa se ne sono andate immediatamente.
La serata prosegue con una passeggiata fino a Leicester square passando per il Trocadero..
Alle 19:30 decidiamo di Andare direttamente a Denmark street, per conoscere quale sarebbe stata la nostra serata live. Dopo molti giri, e una pausa caffé nell’ottimo bar Illy scelto da Alessandro (dove il ristoratore, un italiano emigrato, ce l’ha letteralmente messo in culo con ben 3.90 poudi per 2 caffè)
Giriamo in tondo ancora un po’ attraverso gli stessi palazzi, presi ogni volta da angolazioni diverse.
Infine grazie all’aiuto di due ragazze del posto (a me sembrava parlassero turco) troviamo finalmente la via giusta. L’aria rock del posto è promettente.. Le vetrine dei negozi erano piene di strumenti musicali, prevalentemente chitarre e libri musicali. Cerchiamo definitivamente il “12 Bar Club”, un locale Live che avevo già notato in varie recensioni di viaggi su internet.
Mi accorgo quasi subito di trovarmi proprio li davanti alla porta principale…
Quella sera suonavano 3 gruppi secondo il volantino, e 6 poundi per l’ingresso.. Ok, era deciso.. questa sarebbe stata la nostra serata. Dato l’orario decidiamo di fare un altro giro. Erano appena le 20:00.
Completiamo il giro della via, controllando nei particolari ogni singola vetrina, assetati di conoscenza musicale e di possibili cose magari introvabili in italia. é qui che comincia la seconda puntata della saga “Alexander”. A causa degli auricolari non funzionanti cercava un semplice negozio per ricomprarli. Allo stesso tempo cresceva in lui il rimorso per non aver comprato la sciarpa Timberland che non avrebbe trovato mai più in nessun altro angolo del pianeta, portandolo a delle crisi mistico-convulsive mai viste prima. Dopo lungo vagare riesce ad acquistare delle cuffiette che scoprirà poi difettose al modico prezzo di 10 poundi…
Per l’attesa decidiamo che un’ottima birra in un pub è quello che serve per rimettete in piedi i nostri animi ed i nostri nervi. Bene, non so come vada richiesta una birra rossa (tanto desiderata da Alessandro), ma io ho semplicemente domandato alla cameriera.. “Excuse me, 1 red Beer and 1 strong beer”, Beh, mi sento rispondere che non avevano birre rosse… e ci può stare.. così rimando la risposta a Bizzaglia che mi indirizza sulla mitica “macsounamazzache” dicendomi “è ottima”. Ok inchinandomi alla suprema sapienza del mi compagno di viaggio chiedo alla cameriera 2 birre di questo tipo. Solo dopo averla assaggiata mi accorgo del suo sapore, particolarmente fruttato… e solo dopo aver letto per 8 volte consecutive la parola “cider” sull’etichetta capisco finalmente che quella che avevemo preso non era una semplice birra, bensì un fotuttissimo sidro. Il povero bizzaglia ormai distrutto dalla sfortuna e inesperienza trangugiadalla bottiglia, accostando il sapore del frutto melato alla sua fedele philip Morris, che sapeva non lo avrebbe tradito. A metà birra filiamo finalmente verso Denmark Street, dove un concerto live ci attendeva. Erano appena le 21:00. Dopo aver sbrigato le pratiche burocratiche all’entrata, abbiamo fatto un breve giro del locale e siamo tornati infine al bancone, dove abbiamo chiesto una classica birra (Bizzaglia indicava già un’altro sidro). Questa volta niente scherzi, una bella birra doppio malto era proprio quello che volevamo.
Proprio in quell’istante, ci accorgiamo che la cantante imbracciava la chitarra e posizionava le labbra al microfono… per cominciare finalmente lo spettacolo..
Nella sala c’erano poche persone, forse parenti dei ragazzi che suonavano, vestiti im modo decisamente british rock.. una sala molto angusta e molto scura, con il palco a più di un metro di altezza, e un soffitto ad arcata alto forse 5 metri.
I componenti della band erano tipi molto particolari, un batterista che non riuscivo a mettere a fuoco, forse perché nascosto dietro agli altri della band; Ce n’era uno molto secco e molto alto, capelli lunghi e cappello texano in testa. Un tizio del tutto simile ad Otto disk dei Simpsons.. Non ricordo se fosse il chitarrista o il bassista. La cantante era una 30enne, di bella presenza, capelli biondi e lisci, raggruppati in due ciocche, da due elastici ad entrambi i lati. Piedi scalzi e molta grinta da vendere. Indossava un vestito nero, lungo, impreziosito da numerosi merletti, e una bella fender telecaster usa bianca, che le comprimeva i seni, all’occhio duri come due barattoli di pomodori pelati.
Il concerto infatti, è iniziato con un pezzo e una timbrica british tipica.. dei suoni molto graffiati, ruvidi e ricchi di armoniche e toni medio alti. Ed è proseguito su quella linea, con il sostegno del pubblico che assisteva.. e che sembrava conoscere a perfezione ogni loro canzone.
La nostra birra finalmente si impreziosiva di sapore rock e le nostre facce finalmente apparivano piene di soddisfazione per l’ottima serata.
Il secondo gruppo aveva uno stile punk, con delle canzoni che sembravano copie dei Green day o dei Blink 182. Molto bravi comunque, al di la del genere più o meno apprezzato. Alle 23:50, come 2 cenerentoli siamo corsi a prendere l’underground (a mezzanotte chiude) per andare finalmente in Hotel.
La serata finisce dopo una lunga doccia rilassante tra le luci ed i suoni della tv rimasta accesa a tenerci compagnia.
Ore 7:00 del 29 novembre (Sabato).
Apro gli occhi, e mi alzo, aiutato da una delirante “Bass strings (Country Joe)” impostata come sveglia sul telefono. Altri 30 minuti per prendere del tutto conoscienza di ciò che mi è intorno. Alle 8:00 puntuali il e il mio fidato compagno di viaggio eravamo già nella hall dell’albergo. Il profumo della colazione ci aveva definitivamente svegliato. Armati di forchetta e coltello, ci siamo diretti subito verso il pane croccante. Accompagnati da orange juice, thé (eh si, stavo decisamente male ma un thé caldo rimette sempre in piedi) burro e marmellatine abbiamo banchettato, nell’indifferenza della gente che sedeva nei tavoli vicini.
Pochi minuti dopo eravamo già in strada, zaino in spalla, pronti ad iniziare la lunga e faticosa giornata.
Ci dirigiamo immediatamente verso la stazione della metropolitana vicina al nostro hotel. Due cambi per arrivare a Nothing Hill e raggiungere da lì il famoso mercatino di Portobello. All’arrivo tutto era rimasto come lo avevo lasciato mesi prima, quasi sembrava di vivere un dejavu. Il freddo si faceva già sentire, ma il mio fedele amico si salva grazie ad un caffé bollente preso in un chiosco.
Le bancarelle d’antiquariato e tutte le cianfrusaglie in vendita sono le stesse di sempre.. Soltanto un rapper di colore che vendeva cd masterizzati su una bancarella nella periferia del mercatino riesce ad attirare l’attenzione di Alexander. Un tipo quantomeno losco, con il classico catenone dorato al collo, tatoo sul collo e sulla fronte, una manetta al polso (con tanto di catena tagliata), cappellino e cannottiera di Jordan (con quel freddo) che mi da subito da sospettare. Riusciamo a smarcarci dopo qualche battuta accentuando un inglese ancora più scarso per liquidare il tizio ed andarcene.
Camminiamo per qualche chilometro attraversando un ponte sopra alla ferrovia. Le uniche persone che incontriamo lungo la strada, sono una giovane ragazza e la madre (credo) che si divertono a scattare dei primi piani alle cornici delle pubbliche affissioni, completamente ricoperte di ruggine, tanto da ottenere anche il nostro apprezzamento per l’idea originale.. Finalmente raggiungiamo una metro.. direzione camden Town!
Ore 11 di mattino. Mi chiedevo se fossimo arrivati troppo presto.
In effetti dopo giusto qualche minuto per rguardarsi attorno, la conferma della scelta sbagliata. Ci saremmo persi la vera atmosfera dark e popolata di quel quartiere, che il mio compagno di viaggio non conosceva. Nel mattino, il quartiere sembrava essere avvolto da una tenue foschia. Soltanto una parte del Lock market riusciva a spezzare l’insolita calma.. Tutte le persone (praticamente tutti turisti), si erano riversate all’interno del mercato, composto da una moltitudine di bancarelle che vendevano magliette, felpe e vestiario di ogni genere. Ma ciò che rendeva unico quel posto mancav: i Punk, i Dark, non c’erano.. Del resto si sa, Camden è una città che vive fino a notte fonda. Non avremmo trovato gente fino al metà pomeriggio..
Facciamo una brevissima sosta al lock market, ma l’insolita fretta del mio compagno di viaggio non lasciava presagire nulla di buono.
infatti, usciamo dopo soli 5 minuti di bancarelle, senza contrattare nemmeno un bamboccio.
Nel frattempo mantengo la promessa che avevo fatto, parlando di un mercato di cibi etnici, all’interno del quartiere. Avevamo già deciso di fermarci a pranzo in quella zona, assaggiando qualche piatto tipico del mexico. Per fortuna il mercato era rimasto come me lo ricordavo ed aveva mantenuto le mie aspettative.. Una moltitudine di bancarelle, strette tutte insieme, che diffondevano moltissimi odori emanati da migliaia di spezie e di cibi etnici. Dietro alle pentole e padelle fumanti dal vapore che saturavano l’aria, c’erano moltissime facce, ognuna con caratteristiche e lineamenti diversi che richiamavano l’attenzione della gente allungando dei lunghi cucchiai e spiedi con degli assaggi ai passanti.
Dopo un breve giro, decidiamo di fermarci su un chiosco mexicano, che ci aveva attratto con i suoi piatti dai mille colori.
Cordialmente il titolare del chiosco, un sudamericano con il volto solcato dal tempo, ci passa i menu ed in breve siamo in grado di ordinare un paio di piatti tipici con un’unica raccomandazione: “Very hot”
Mai assaggiare un panino pieno di tabasco e peperoncini piccantissimi se non si ha a disposizione un litro di coca cola! Da lasciare senza fiato!!!
In breve salutiamo il quartiere per andare finalmente alla ricerca della sciarpa perduta. Il mio compagno di avventure, assalito dalle allucinazioni a causa della piccantezza dei peperoncini mexicani, si impone nel voler tornare a tutti i costi al negozio Timberland visto il giorno prima per fare delle compere esclusive. Ebbene, nel primo pomeriggio decidiamo finalmente di raggiungere Liverpool Str. con la metro per prendere finalmente la fottuta sciarpa. Ma la sorpresa era dietro l’angolo. Il negozio era chiuso. E’ stato allora che ha esclamato: “..Nooo!!! La vacanza è rovinata!!! La vacanza più brutta della mia vita!” Al che, ho compreso che il morbo della sciarpa lo aveva colpito… Londra, una delle più grandi metropoli del mondo, sarebbe mai stata in grado di offrire un altro negozio Timberland per comprare una semplice sciarpa da 40 poundi? (Anche se nel mio cervello mi chiedevo se non avesse trovato la stessa sciarpa in un qualsiasi negozio della catena in tutto il mondo)
Ad ogni modo, la vacanza si stava irrimediabilmente compromettendo, ed i stati d’animo del mio amico assumevano sempre più toni borderline.
La delusione per non essere riuscito in due giorni a fare dello shopping di qualità lo stava logorando dall’interno.
Fino a quando riesco a portarlo nella zona più commerciale della Città: Oxford Str. Nel frangente, riesco a fare qualche acquisto in un magazzino affollato al centro della via.. scegliendo tra una vastità di articolo, un paio di jeans, (molto economici per la verità, ma molto british).
finalmente all’interno di un negozio d’abbigliamento il nostro sfortunato amico, riesce ad acquistare un paio di guanti Thinsulate di lana, tipici e comunissimi guanti reperibili in qualsiasi mercato italiano. Questo basta ad alleviare la sua atroce sofferenza; ma solo fino a quando uscendo dal negozio prova ad indossare il suo nuovo accessorio. Disgrazia!! Erano due guanti della stessa mano! Mentre io deliravo, piegato letteralmente in due dal ridere, il mio amico assumeva toni in volto dal violastro al rosso pomodoro, passando per un blu causato dall’aria tagliente di Londra. Il suo umore aveva passato ogni limite di sopportazione, e decide di tornare indietro per cambiare l’articolo (con l’intenzione forse di uccidere il commesso asiatico alla cassa). Nel frattempo faccio un giro per il negozio, e dopo qualche minuto lo trovo indaffarato ad una cassa, che tentava di spiegare ad un commesso, il grave problema. Intromettendomi nel discorso chiedo intanto di poter pagare i miei articoli, (saltando tra l’altro anche la fila lunghissima).
Soltanto dopo svariate minacce ai commessi, riesce a farsi restituire i soldi, e a quel punto decidiamo di fare altre tappe.
Non mi sarei mai aspettato che di li a poco, avrebbe fatto un’altra “azione di ordinaria follia”. Attreaverso il vetro di un negozio, vede un berretto, una “cuffia”, blu notte, con un terribile stemma cucito davanti, credo un’ancora, o uno stemma navale. Senza pensarci due volte, entra nel negozio per provarlo, dando anche un’occhiata intorno. In un mio attimo di distrazione me lo ritrovo dentro la vetrina, arrampicato tra i manichini in esposizione, che era appena riuscito a togliere il cappello ad un manichino, come alla fine dell’epifania si toglie la stella dalla punta di un albero di natale. Io, già con le mani tra i capelli noto che nell’effettuare quest’operazione, si appoggiava proprio su un cartello con la scritta: “Do not touch”. Dopo un attimo mi rendo conto che il negoziante aveva l’aria stupita e incredula quanto la mia. Lascio immaginare a voi quello che il negoziante gli ha “abbaiato” in seguito.
In ogni caso, compra il cappello, non so se per timore verso il negoziante, o perché gli sia piaciuto effettivamente, fatto sta, che per i successivi 40 minuti mi mi riempe di domande tipo… “Ma lo stemma sei sicuro che non è brutto?.. Ma il colore com’è? Ti piace? Sul serio?”.. Io non ho osato contraddirlo.. Non me la sentivo proprio. Quel cappello riusciva, anche se in minima parte contrastare il suo stress post traumatico da “mancanza di shoppong”. Eppure quel cappello cominciavo a vedercelo sulla sua testa. Gli dava quasi l’aria di un tipo sospetto, di un duro, di uno scaricatore di porto.. ecc. ecc.
Quel cappello era la sua unica ancora alla vita!.
Ma un miracolo stava per accadere. Era sceso il sole, ed il freddo si faceva sentire, le illuminazioni lungo Oxford Street, catturavano la nostra attenzione, quando dietro l’angolo troviamo un megastore Timberland, lasciando a bocca aperta il nostro compagno di viaggio. In un attimo era già con la sua nuova sciarpa al collo dalle variegate tonalità di verde oliva, al verde prato, al verde racanaccio. Sciarpa che tutt’oggi indossa e non toglie mai, nemmeno quando va al bagno (Sappiate che anche in questo momento, mentre proseguite nella lettura di questo interessante racconto, beh, lui vi sorride con la sua verde “gnomica” sciarpa stretta al collo).
La serata finalmente assumeva toni vacanzieri e quella che era stata dichiarata la peggiore vacanza di sempre era diventata la “quasi migliore di sempre” (beh, il top era la nostra vacanza Amsterdam, Scozia nel 2006 con Tamara).
I toni si erano finalmente distesi, e l’ansia era completamente esaurita.
Andava ora delineandosi, invece, un altro problema molto più importante, sotto la leggera pioggia e con il freddo pungente cominciavamo a sentire, insopportabile, il dolore sotto i nostri piedi. Eravamo in piedi dalla mattina, e non ci eravamo riposati nemmeno per un attimo durante la giornata. Ma in fondo era quello che volevamo: sfruttare a pieno tutto il tempo a disposizione, e vivere la città al massimo, per i nostri due giorni di soggiorno.
Dedichiamo gli ultimi minuti del pomeriggio all’acquisto di regali e cianfrusaglie varie, passando al setaccio tutti i negozi di e chioschi turistici.
La serata entrava nel vivo, come il dolore nelle nostre ossa. Stavamo anche terminando i nostri soldi; avremmo dovuto cercare una cash machine, per ritirarne degli altri.
Eravamo ora alla ricerca di cibo… Non ricordo se il prezzo di un ristorante mi avesse spaventato; forse anche a causa della mia semplice svogliatezza di ritirare ulteriori banconote, avevo indotto il mio amico a cercare un pasto più economico… Un burger King, appunto. Ci sediamo proprio davanti alla vetrina, accanto ad una vecchia con il suo nipotino. Speravamo che quei minuti seduti, potessero alleviare il carico alle nostre gambe e ai nostri piedi, ma non era così. Anzi, stando seduti sentivamo il dolore ancora più forte. Dovevamo passare la serata, per arrivare nuovamente a Liverpool Str. alle 3 e prendere il bus per l’aeroporto. Nel pomeriggio avevamo contrattato di trascorrere la serata al cinema. a dire la verità non ero molto entusiasta, ma eravamo seduti su un muretto in pieno centro a Piccadilly, con la pioggia fina che scendeva, e stavamo a guardare i passanti. Man mano che la pioggia ed il freddo diventavano più intensi, la gente affrettava il passo per la strada, facendo calare l’afflusso di gente nel centro della città. Solo delle temerarie ragazze sfidavano sul serio il freddo pungente, indossando soltanto delle finissime cannottiere, attirando i ragazzi per strada e attendendo di entrare in qualche disco pub.
Accetto finalmente l’idea del cinema, un film in inglese, con Leonardo Di Caprio, in stile documentario sulla guerra in Afghanistan. Non appena inizia lo spettacolo, ci accorgiamo delle cattive
abitudini degli inglesi. Un pancione, dietro di noi inizia a russare dopo appena 5 minuti dall’inizio. Un altro tizio più avanti ha la “fantastica” idea di togliersi le scarpe e di stendere le gambe sui sedili davanti a lui, ad appena 2 sedili più in là, rispetto ad una coppia di giovani che credo non abbiano più gustato il film.
Ore 2 e mezza del mattino e titoli di coda del film. Alzandoci dalla poltroncine della sala, ci accorgiamo di non riuscire quasi più a camminare, tanto che impieghiamo quasi un quarto d’ora per uscire dal cinema. La nostra avventura stava volgendo al termine, come quando il sole sparisce dietro la montagna.. Ma non era ancora finita. Dovevamo ancora trovare il bus notturno che ci portasse Liverpool street. Chiediamo informazioni ai poliziotti del posto, che ci indicano con la mano la direzione verso la fermata. Dopo pochi metri ci accorgiamo che stavamo arrivando a trafalgar square, che avevamo precedentemente saltato per mancanza di tempo. Meglio così. Una rapida occhiata alla piazza, anche se di notte non le rendeva assolutamente giustizia.. La fermata del bus era proprio li a 2 passi, e dopo qualche minuto riusciamo a trovare 2 posti seduti sul pullman.
Alle 3AM eravamo a Liverpool Street, pronti a prendere la coincidenza della terravision per Stansted. Il resto non ha rilevanza, sosta di un’ora in aeroporto e checkin immediato. L’ultimo spunto di adrenalina ce lo da l’atterraggio a Perugia, decisamente movimentato, tanto da costringere il pilota a ripetere 2 volte l’approccio alla pista per il fortissimo vento.
Beh, credo di aver detto tutto, forse più del necessario. spero che il mio fedele compagno di viaggio sia rimasto soddisfatto della vacanza, e che voi non vi siate annoiati nel leggere questo fantasioso racconto. Concludo riportando il pensiero saggio di un mio vecchio amico cow boy: “A volte sei tu che mangi l’orso, e a volte è l’orso che mangia te”..