India e Nepal – Il viaggio di una vita (1)

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Non avrei mai immaginato che fosse così difficile trovare un titolo a questo racconto. Ho l’impressione che qualsiasi cosa io scelga, non sarà sufficiente a descrivere l’intensità delle avventure vissute e le sensazioni provate.

È il viaggio di quattro amici, attraverso posti indimenticabili quanto unici, percorrendo in macchina l’India del nord. Partiremo da Delhi, e proseguiremo per Agra, famosa per il suo Tajh Mahal, Jaipur, Jodhpur ed altre città, fino a Varanasi, la terra santa degli Indù. Ci ritroveremo immersi in paesaggi lunari, attraversando a piedi il confine col Nepal, e raggiungendo finalmente un posto tanto remoto, quanto magico, come la città di Kathmandu.

I ricordi affiorano a decine, ed in maniera del tutto disordinata. Come durante la partenza di un aereo, guardando fuori dal finestrino non sai ancora cosa ti aspetta, ma hai già la sensazione che sarà un viaggio epico.

Come dice il nostro amico Sven, il nostro driver e guida, all’India non si è mai preparati. Devi viverla, odorarla,  gustarla, ascoltarla e aggredirla; non puoi tornare a casa indifferente, Questi posti ti cambieranno, per sempre.

È difficile immaginare che lì, appena fuori dall’aeroporto la vita sia così caotica, qualcosa che va oltre ogni immaginazione. Subito ci ritroviamo catapultati in un girone dell’inferno dantesco. La polvere ci infastidisce gli occhi, il sole cocente brucia la pelle, e la maglietta ci si attacca addosso dall’umidità, il caldo è insopportabile. Non che io lo ami poi; preferisco  il freddo. Se è freddo posso vestirmi di più, ma riguardo al caldo… beh, sono fregato! Non posso mica andare in giro nudo, o dentro un frigorifero!

In giro c’è un odore acre, a tratti insopportabile. L’aria è assolutamente irrespirabile e insalubre, ma capiamo subito che dovremo imparare a conviverci. Facciamo subito i conti con la dura realtà dell’India: le strade sono talmente dissestate che sembra sia appena terminata una guerra. I palazzi sono diroccati, smembrati, pieni di crepe e scritte.  Le strade praticamente inesistenti, tappezzate da buche incredibilmente profonde. Prendere una di quelle buche con la macchina equivaleva a rimanere incastrati, o peggio ancora a spezzare un semiasse. La cosa più incredibile era il groviglio inimmaginabile di cavi elettrici attaccati ai pali della luce. La sensazione era quella di una catastrofe elettrica imminente ed incontrollabile. Una precarietà che lasciava sbalorditi. Ci chiedevamo chi sarebbe stato in grado di riparare un guasto elettrico, se qualcuno di quei fili fosse andato in corto circuito.

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Mucche, mucche sacre dappertutto. In mezzo alla strada, ai bordi dei torrenti, e persino all’interno delle case. Sono libere di pascolare e sostare dove vogliono, anche in mezzo alle strade trafficate, tanto che gli automobilisti sembrano abituati a schivarle. La morte di una mucca è assolutamente un evento nefasto per gli indiani. Le mucche sono sacre. Gli induisti le nutrono e le venerano. queste in cambio, cedono il loro latte, preziosissimo per quel popolo. Non credo che esistano cassonetti dei rifiuti a Delhi. La gente butta a terra gli avanzi del cibo, formando dei grandi cumuli si spazzatura, dove tutti gli animali, polli, cani, gatti, ratti, maiali e anche le mucche, rovistano per mangiare.

 

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Paradossalmente non è questo il lato più assurdo che si nota. Ciò che lascia a sconcertati, è un incredibile sovraffollamento di persone, poverissime, che riempono ogni strada, viale, aiuola, marciapiede. La povertà estrema è lì davanti a te, che rimani a guardare con gli occhi cristallizzati per quelle immagini che non riesci a metabolizzare. Non basterebbe una vita per recuperare dalla violenza di quelle immagini, le persone dormono, buttate a terra, ai bordi delle strade, o addirittura in mezzo alle aiuole spartitraffico, nel caos infernale delle macchine e dei carretti che procedono lenti per l’ingorgo infinito.

Dopo l’iniziale shock, o forse semplicemente per reazione, notiamo finalmente anche gente comune, alcune persone ben vestite, e alcune donne che indossano i tradizionali sari. Camminano per strada, alcune portando in braccio o per mano i figli più piccoli.

Ma subito, il breve intermezzo viene interrotto da numerosi venditori che ci assalgono letteralmente. Vendono di tutto. Statuette, cartoline, altri chiedono semplicemente l’elemosina, veniamo praticamente circondati, tutti chiedono qualcosa, alcuni in maniera anche piuttosto insistente. C’è fame di denaro, ma c’è soprattutto fame. Siamo visibilmente scossi, e ci allontaniamo velocemente, portandoci dietro uno sciame di persone, che solo dopo qualche centinaio di metri di dirada. Lungo la strada, ogni venditore insiste sorridendoci per farci vedere il proprio negozio. Ci mostrano oggetti, e gridano prezzi che si dimezzano ad ogni passo che facciamo mentre ci allontaniamo. Vedo dei grandi sacchi di spezie, appoggiati davanti ad un negozio e ne approfitto per comprare un po’ di anice stellato e cumino, che voglio riportare con me.

Siamo vicini al forte rosso, una grandiosa fortezza dell’epoca Moghul. È poi da quella fortezza che nel ’47 è stata proclamata l’indipendenza dell’India. Decidiamo di approfittarne per una visita. Soltanto una volta arrivati lì davanti scopriamo che proprio quel giorno non è possibile alcuna visita, e che resterà chiuso per una non ben precisata festa locale.

Sappiamo che nonostante la difficile giornata, l’India deve ancora mostrarci tutta la sua bellezza ed il suo misticismo. Ma noi siamo fiduciosi. L’India è così. È un fantastico posto estremo che va scoperto un po’ alla volta. Siamo sfiniti. Ci lasceremo due giorni alla fine del viaggio per visitare la città. Ora andremo a dormire, domani sarà una giornata lunga. Si partirà in treno, per visitare Agra ed il suo meraviglioso Taj Mahal.

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